lunedì 3 marzo 2014

Follow the trail [Jade]



To The past

Clackline - Villa Stone, 2504

E' un autunno stranamente caldo quello che affligge Baton Rouge e Villa Stone come se l'estate facesse fatica a lasciare spazio alla stagione successiva, per quanto poco caratterizzata se non da piogge e monsoni.
E' sera e finalmente l'aria rinfresca e lei è appena uscita dal laboratorio del padre, dove sta imparando una noiosa sequenza di legami covalenti ionici. Indossa un abitino bianco, bordato di pizzo ai polsi e sul colletto visto il ruolo che la sua famiglia ricopre nella villa, sta correndo verso la casa padronale, scantonando altri schiavi, parenti, amici perchè ha una importante missione. Portare un messaggio di suo padre al vecchio Stone. E' da poco che le affida questi compiti ma sono importanti almeno per lei.
La casa padronale è bellissima al tramonto, circondata da rampicanti dai fiori accesi, con quel porticato lunghissimo di colonne bianche che di giorno riflettono la luce in maniera accecante.
Entra dall'ingresso di servizio, ovviamente, e fa le scale a due a due con la tipica impazienza dell'adolescenza piena di energie.
Sale e sale e sale, fermandosi solo quando sente delle risate. Un tintinnare di bicchieri, odore di fumo e profumi. Le labbra si piegano in una smorfietta quando realizza che ci sono ospiti per i giovani Stone. Giovani Stone. O Fratelli Stone.
Come se fossero una unica entità quando ai suoi occhi sono così diversi.
Scuote la testa bionda, e fa per salire di nuovo, per portarsi ai piani superiori quelli riservati alla famiglia quando la porta che dà sulle scale di servizio si apre. Lei si immobilizza, vedendo un brandello di stoffa lucente e femminile illuminato.

Sei uno stronzo
Dai smettila tesoro..vieni qui

Non riconosce la voce di donna, morbida, dall'accento quasi impercettibile ma riconosce la seconda voce, quella maschile.
Abe Stone.
Riconosce poi le mani di lui che si aggrappano a quell'abito, tirandolo di nuovo all'interno della stanza, seguito da un rumore sordo, uno strappo che le fa sgranare gli occhi seguito da una risata acuta. La porta si richiude con un tonfo e rimane nel buio mentre dalla stanza ormai isolata arrivano altre risatine seguite da un mormorio basso quasi ipnotico, una voce profonda e baritonale e poi il silenzio. Ha un brivido quando realizza cosa sta succedendo oltre quella porta, e sale, sale  di corsa le scale arrivando fino al pianerottolo superiore.
Ed è lì che trova Jona, seduto sull'ultimo scalino prima del pianerottolo, la pipa in bocca e lo sguardo assente, le labbra tirate in una smorfia.
Non dice nulla, passa oltre quando lui alza la mano e afferra l'orlo di pizzo per poi tirarla contro di sè, affondando il viso nelle pieghe dell'abito mentre ha usato la destra per levarsi la pipa. E' pietrificata, non comprende.

Mi spiace Jadee, mi spiace tanto.

Jadee, l' ha sempre chiamata cosi.
Ma non capisce per cosa si scusi, non può capirlo, cosi si limita a dargli una pacchetta incoraggiante sulla spalle e lui la lascia, esibendo il profilo di pietra. Non dice nulla e corre a fare la sua commissione.



To The Present

Horyzon, Casa di Abe Stone -2516

Hanno portato il divano letto e ho mostrato dove sistermarlo per poi prepare il letto con le lenzuola nuove comprate proprio oggi.
Mi sono arrampicata in cucina per prendere il tomo di ricette e sfogliarlo con impazienza, trovando qualcosa di semplice da preparare. Una cosa semplice, un piatto di carne e verdure che però mi ha richiesto tre ore di tempo e un taglio sull'indice.
Non ho mai imparato a cucinare, non penso imparerò mai. Ci sono cose per le quali si è portati ed evidentemente la cucina per me è qualcosa da cui stare alla larga, fatto di cui ho preso piena coscienza tanti anni fa.Non che mi sia mai importato ovviamente.

Perchè mi hai comprato?
Non lo so.

Ricordo quella conversazione pezzo per pezzo, parola per parola, ma ancora non ne capisco il senso.

Cosa pensi di me, Jade Lee?
Sei uno stronzo.


E' per questo che lo provoco. Perchè il mondo è stato capovolto, e sono una schiava che non è una schiava.
Non mi ritrovo, non ritrovo me stessa, sono persa ed è colpa sua.

Sorrido amaramente mentre gli lascio un biglietto sul tavolo vicino a quel piatto che diventerà presto freddo.
Poi vado a letto, in quella stanza che ha il suo odore, per quanto io possa spruzzare profumo.
Lo sento persino nel sonno l'odore di tabacco, di calma, di dolore che lo attanaglia.
Mi sveglio con quell'odore addosso e capisco che è tornato a casa dal rumore che sento in salotto.
Mi alzo, piano, e scosto la porta lascia appena socchiusa e sbircio.
Per un attimo quel profilo e quella pipa mi traggono in inganno e sento una stretta allo stomaco.
Poi batto le palprebe e non c'e' Jona ma Abe. Sono sempre stati così diversi.
Ed ora lui ne sembra una pallida copia.
Oppure una copia migliore.
Rabbia, rancore, dolore perchè la gente dimentica le cose, le persone, lasciandosele semplicemente alle spalle, come fardelli troppo pesanti o palle al piede.
Mi tiro indietro di scatto un attimo prima che lui si volti, e torno sotto le coperte che sanno di lui.
E lo odio.
Perchè non è Jona, perchè mi ha dimenticato, perchè ha dimenticato la sua vita lasciandosela alle spalle.
Il dito mi pulsa selvaggiamente, mentre stringo la mano sulla coperta, ricordandomi quale è il mio posto.

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