sabato 22 febbraio 2014

venerdì 21 febbraio 2014

Follow the Trail to Aid [Abe]

Sfilano uno dietro l'altro, silenziosi come spettri, affamati come belve, disperati come orfani. Non li conto nemmeno, non ne ho il tempo; controllo solo che abbiano effettivamente bisogno di ciò che consegno loro, dopo di che si allontanano in fretta. Qualcuno mi sorride, specie i più piccoli, ma so che tutti mi ringraziano ed allo stesso tempo mi odiano.
Io che sono la conseguenza della loro condizione, che sancisco il loro pianeta come desolato e morente. Sono solo uno di quelli che ha teso loro la mano, non peggiore di altri, sicuramente non migliore di altri, ma sono il simbolo della sconfitta, esattamente come tutti gli altri.

Ho imparato ad amare Bullfinch, la sua popolazione grezza e rude, le strade di Timisoara, nonostante siano  attraversate costantemente da poveri e disperati in cerca della loro vita, una vita che qualcuno ha strappato e stravolto per riconsegnarla loro mutilata e infetta. Non c'è odio nel concetto della guerra, nè in chi l'ha combattuta, solo l'odio e la paura per la sofferenza che vedo e che non riesco ad arginare.
Annuso l'aria, il vento mi porta l'odore di putrefazione; poco più in là in un vicolo, qualcuno è morto e sta marcendo. Nonostante i miei sforzi, c'è sempre qualcuno che muore, c'è sempre qualcuno che non arriva alla mia mano. Se potessi allungarne le dita e raggiungere ogni persona del 'Verse, sarei in pace, potrei morire lieto, consapevole di aver raggiunto il mio scopo.

Non esco dal centro di distribuzione questa notte. Dopo aver chiuso la saracinesca e le inferiate del bancone che da sulla strada, blindo la porta e accendo una piccola lampadina. Mentre sfoglio il rapporto agronomico di Lelaine Blackwood sullo stato dei terreni di Bullfinch, le parole di Volkov mi entrano come chiodi arrugginiti nello stomaco.

Bullfinch diverrà la nuova Shadetrack.

La consapevolezza di avere, con i miei gesti, solo allontanato una fine inevitabile mi rende inquieto.
Appoggio le spalle ad uno degli scaffali, accendo la pipa che un tempo apparteneva a mio fratello; fumo lentamente senza riuscire a pensare a nulla, se non alle labbra nere di Lelaine quella sera alla festa sulla Carnival Mistress.

So perchè sono inquieto. La terraformazione di LS9 in  Roanoke, la mia promozione a Manager... I miei colleghi si sono congratulati con me, elogiano il mio lavoro, il mio operato, mi stringono la mano.
Ma non capiscono, nessuno di loro ha capito. Non sono affatto migliore di loro, nè più bravo, nè più capace in ciò che conta davvero. Stanno tutti sbagliando, puntano il loro sguardo in alto, verso di me, quando dovrebbero tenere gli occhi sul mondo e agire per migliorarlo, non per ascendere la scala gerarchica.
La promozione e le mie gesta in Blue Sun a tratti mi danno quasi fastidio; so che con tutti i capitali investiti nel progetto di Terraforming avremmo potuto risollevare Bullfinch e Greenfield dai dolori del dopoguerra.
Ma nessuno ha creduto nella possibilità che accadesse.

Non si può certo definirli affari herr Stone, la sua è un'azione inutile, senza un guadagno.

Tutto il mondo economico si fonda sulla fiducia che un capitale prestato venga restituito. La chiave della salvezza di Bullfinch è stabilire un livello concreto e credibile di fiducia in chiunque voglia investire i propri capitali.

Questa sarà la mia strada, il mio attaccamento per questo pianeta sull'orlo della desolazione è del tutto razionalmente insensato, eppure esiste ed ora è il mio punto d'arrivo.

sabato 15 febbraio 2014

Follow the Trail to Shadows [Abe]

Potrei pestarti i piedi
Chiudi gli occhi

La musica spinge i miei passi, le mani cingono la vita della dama e la sua mano.
Tutte le luci ed il fastidioso vociare degli invitati si affievoliscono fino scomparire, ottenebrati dalle urla di pensieri insistenti.

Le labbra nere di Lelaine Blackwood sono ricorrenti, le guardo di continuo mentre si schiudono secondo un ritmo che non riesco a decifrare; dietro di esse denti bianchi e ordinati testimoniano un'alimentazione sana ed una cura precisa della propria salute. Le sue mani assorbono il leggero tremore delle mie.

L'abito di Daphne Kim è come un incendio tra le fiamme della sala, il suo volto è coperto dalla maschera, ma non può nascondermi la sua sofferenza; la leggo in ogni passo, in ogni braccio teso per un bacio, in ogni sorriso che ha sempre invariabilmente qualcosa di tirato. Le sue viscere urlano il dolore di ricordi orribili.

La severità di Erkentrud Graf contagia come la peste ogni persona accanto a cui sfila, qualcuno la invita a ballare, lei accetta di tanto in tanto, ma solo con chi riesce a darle maggior prestigio in sala. E' indubbiamente attraente, come un albero con le radici al posto delle foglie.

Dev'essere stata dura non avere una propria identità
Amavo molto mio fratello, la notte dormivamo sempre assieme; l'abbiamo fatto fino all'adolescenza

Ad una festa a sei anni ho scaraventato secchiate d'acqua addosso agli invitati
Io e Jona abbiamo messo dell'urina di cavallo nel vino
Che schifo

Uno dei ricordi più allegri che ho

Follow the Trail to Memories [Abe]

La carrozza sobbalza sulla strada irregolare che conduce a villa Nora, la residenza festiva della famiglia Sanders, una delle più ricche casate latifondiste di Clackline.
Sono giovane, dentro e fuori, ho diciannove anni, i capelli in ordine ed il pizzetto curato. Mio fratello Jona siede di fronte a me, la moda ed il ceto sociale lo costringono a tenere un look analogo al mio e sebbene sembri sopportarlo so fin dentro le mie ossa che non è affatto così. Accanto a lui la promettente pargola della famiglia Lee, i medici che sin dai tempi della prima epoca schiavile hanno servito gli Stone in modo impeccabile.
Il paesaggio è rigogliosamente ricoperto di neve che cade dal cielo con un ritmo costante oramai da diversi giorni, ma il clima non ha fermato la frenesia dei latifondisti nell'organizzare feste e banchetti.
Quando mio fratello alza lo sguardo su di me, capisco che le cose non vanno bene. Non stanno andando bene da circa un anno.
Sono io a rompere il silenzio, abbozzando un sorriso
"Era da qualche settimana che non ricevevamo un invito"
"Già, stavo cominciando ad abituarmi, ma nostro padre deve aver mosso i letti dei fiumi per farci invitare"
"Come credi che andrà la serata?"
"Tutti ci sorrideranno, tutti si complimenteranno per la grande capacità gestionale finanziaria che ci ha permesso di triplicare il fatturato nel giro di un anno, tutti vorranno conoscere Jade"
Mio fratello devia lo sguardo grigio sulla ragazzina che siede accanto a lui: è composta, seria e tranquilla. La conversazione passa a me.
"Sarai una straordinaria cocchiera, Jade Lee"
"Si padron Stone"
"Abe, guarda"
Jona attira la mia attenzione puntando il dito verso l'esterno: oltre il vetro vicino ad un albero di villa Nora un gruppo di ragazzini sta ergendo una serie di pupazzi di neve. Riconosco qualcuno di loro, sono i pargoli della genia schiavile appartenente ai Sanders.
Fisso mio fratello ed il suo profilo austero rivolto al mondo di fuori, so perchè me li ha indicati, so cosa sta pensando.
E' lui questa volta a rompere il silenzio.
"Tieni in rotta il battello questa sera"
"Non preoccuparti, ci andrò leggero con il vino"
"Grazie"
Più ci avviciniamo al viale alberato che conduce all'ingresso, più Jona si fa distante; quando la carrozza si ferma e le porte vengono aperte, siamo i Fratelli Stone, ma lui è un'altra persona.

Quando scendiamo dalla carrozza tutti i volti dei presenti voltano in nostro favore.
Jona indossa un abito scuro di tessuto semplice ornato di finissime cuciture d'oro sui polsini e sul colletto, i pantaloni sono del medesimo colore della giacca, le scarpe con un leggero tacchetto e lucide. Sebbene l'abbigliamento non sia affatto così appariscente, il viso pulito, il capello corto e gli occhi grigi sono pregni di una tale austerità e serietà del tutto non comune. La pipa accesa tra le labbra è il dettaglio che gli conferisce il carisma di un generale. Quando scende i due gradini della scaletta si pone a lato della carrozza.
In quel momento faccio la mia comparsa e balzo giù con un movimento fluido. Indosso un abito sui toni del marrone con polsini ricamati e bottoni placcati in argento, uno scollo pronunciato fa sporgere la camicia voluminosa, i pantaloni seguono la stessa linea della giacca ed il tessuto con cui sono confezionati si accartoccia leggermente nella zona delle ginocchia, come prescrive la moda.
Jade Lee è l'ultima a scendere; per l'occasione suo padre le ha fatto confezionare un abito sobrio e pulito, sui toni del chiaro, poco appariscente. La spilla dei Lee spicca sul bavero fregiando la ragazzina di un rispetto meritato tra i latifondisti.
Jona mi guarda, io ricambio, un sorriso leggero e ci avviamo a stringere mani e baciare guance. La festa può cominciare.

Si chiama Amanda, è una ragazza molto bella, dai lineamenti taglienti e decisi, alta più o meno come me. Indossa un abito corto blu cobalto che mette in risalto le gambe snelle coperte da calze velate color carne, sacrificando l'esposizione del seno che rimane nascosto da una scollatura del tutto casta. Un gioiello di squisita semplicità si adagia sulle curve del petto ed un paio di scarpe vertiginosamente alte mettono in risalto il collo del piede.
Sto ballando con lei da almeno un quarto d'ora ed ogni volta che si avvicina non manca di sussurrarmi qualcosa per la quale fatico molto a contenermi.
Quando la musica cambia decido di bere qualcosa con lei; beviamo molto e in breve tempo ci concediamo qualche tiro di Blast.
Mentre sgattaiolo via condotto dalla presa salda della sua morbida e calda mano, colgo lo sguardo di Jona che si distoglie da me con rassegnazione e quello di Jade che gli sta portando un vassoio di dolci.

Quando la porta della stanza si chiude alle nostre spalle, Amanda agguanta il tavolino e compone in breve tempo una pista di droga. Io estraggo da una credenza il vino ed i bicchieri, cominciando a versarlo.
Vedo nel riflesso del liquido rosso gli occhi grigi di mio fratello che mi fissano con tristezza.
Amanda non ha nemmeno finito di tirare il primo centimetro di Blast che mi approprio del suo corpo e la trascino per terra in una spirale di sesso e dissolutezza senza fine.
Lasciare al vizio e all'eccesso il controllo delle mie azioni sembra facile e in effetti lo è davvero, del resto non sono io l'erede.

Ma più traggo piacere, più soffro, per quegli occhi grigi profondi e tristi che fino a qualche istante prima mi avevano guardato, speranzosi di un affetto oramai avvizzito da tempo.